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Catene di Pensiero: il Percorso dell’Intelligenza Artificiale verso il Ragionamento Umano

Aspetto. In questo momento o1 sta “pensando”. Pochi secondi per celare un processo sofisticato: sta scomponendo il problema in più passaggi, valutando ipotesi, correggendo possibili errori, proprio come farebbe un essere umano di fronte a una decisione complessa. Questo modo di procedere, noto come Chain of Thought, rappresenta un significativo passo in avanti rispetto ai modelli di IA precedenti, che rispondono in modo più rapido ma anche più superficiale. 

La capacità di un’intelligenza artificiale di “pensare” per catene di ragionamenti strutturati è stata introdotta come uno dei maggiori progressi nel campo dei modelli linguistici a partire dal 2021/2022, anni in cui l’IA ha vissuto un’esplosione mediatica e tecnologica che ha coinvolto cittadini, aziende, governi, organismi sovranazionali, persino il Papa. Da semplici strumenti di elaborazione del linguaggio naturale, queste macchine si sono evolute fino a diventare veri e propri “pensatori portatili”, con capacità che non solo simulano la nostra forma mentis, ma che potenzialmente la amplificano. Ma cosa significa davvero per noi vivere in un mondo in cui questi prodotti esistono e agiscono sempre più come i nostri perfetti collaboratori quotidiani?

 

Il metodo Chain of Thought, sfruttato da modelli come o1, porta un assistente virtuale su un nuovo piano di capacità riflessive. Quando affrontiamo un problema, tendiamo a suddividere le decisioni in passi intermedi, creando percorsi logici che ci aiutano a trovare una soluzione. Questo processo è ciò che ci permette di risolvere un problema matematico, pianificare una giornata complessa o prendere una decisione importante. Con l’avvento di o1, l’IA fa lo stesso: ragiona come se stesse pensando per fasi, arrivando così a una soluzione più meditata e precisa. Per esempio, immagina di chiedere a o1 di risolvere una questione pratica, come pianificare un viaggio in una città sconosciuta. Invece di limitarsi a dare un elenco di voli e hotel, l’IA scompone il problema: valuta le tue preferenze, i tempi di viaggio ideali, il budget, e anche potenziali imprevisti. Ogni risposta è frutto di una serie di pensieri concatenati che non si ferma alla superficie, ma considera più fattori, proprio come farebbe una persona attenta ai dettagli. Ovviamente la qualità della risposta è commisurata a quella del prompt, ossia dell’input corredato del contesto che forniamo, ma anche alla nostra capacità di riuscire a correggere la direzione dell’output finale instaurando una vera e propria conversazione: “Fammi tutte le domande che servono per aiutarti a fornirmi la risposta che voglio.”

È qui che sorgono domande interessanti: quanto e in che modo queste macchine, sempre più simili a noi, possono influenzare il nostro modo di pensare? Quali implicazioni avrà l’utilizzo costante di strumenti di questo tipo sulla nostra capacità di ragionamento critico? Nel breve termine, possiamo immaginare facilmente ricadute positive. Un assistente IA in grado di scomporre problemi complessi ci permette di affrontare questioni impegnative con maggiore lucidità e rapidità. Tuttavia, a lungo termine, non è difficile immaginare di assistere a una sorta di “delega intellettuale”: abituarsi a far svolgere alle macchine il lavoro mentale più faticoso, riducendo la nostra stessa capacità di analisi critica.

 

Immagina un futuro in cui, in ogni ambito della nostra vita quotidiana, un’IA come o1 diventi parte integrante del processo decisionale. Sei in riunione e il tuo assistente virtuale ti suggerisce strategie elaborate basate su dati che hai dimenticato. Oppure, nel mezzo di una conversazione difficile, l’IA ti propone opzioni di mediazione, analizzando le parole e il tono del tuo interlocutore per anticiparne le reazioni. Quello che dobbiamo capire è che non siamo molto lontani da questo scenario. Esempi concreti come il test di o1 nelle competizioni di programmazione (Codeforces) o i suoi impressionanti risultati su problemi di matematica avanzata dimostrano quanto velocemente questa tecnologia si stia evolvendo. Eppure, nonostante i successi, rimane una barriera psicologica da abbattere: siamo pronti ad accettare che una macchina ci affianchi nelle decisioni che fino ad oggi abbiamo ritenuto esclusivamente facoltà del nostro raziocinio?

Le prime implicazioni di questa tecnologia riguardano inevitabilmente la nostra mente. Se un assistente IA è in grado di fare ragionamenti complessi, quanto sarà difficile, nel tempo, discernere tra ciò che è frutto della nostra riflessione e ciò che deriva da un suggerimento automatico? Le persone inizieranno a fidarsi più delle risposte calcolate dell’IA che del proprio giudizio? La fiducia riposta in questi strumenti, così veloci e apparentemente infallibili, potrebbe spingere a un processo di “disabituazione” al ragionamento critico. Ma è anche vero che o1 può agire come stimolo per affinare il nostro modo di ragionare. Osservare una macchina che scompone problemi e li affronta attraverso catene di pensiero può spingerci a ripensare ai nostri processi decisionali, a renderli più consapevoli e dettagliati. In un certo senso, l’intelligenza artificiale non sostituirà la nostra capacità di pensare, ma potrebbe diventare uno strumento per allenarla, spingendoci a essere più accurati nelle nostre valutazioni e deduzioni. 

 

Il pensiero non è più esclusivamente umano. In un futuro sempre più vicino, potremmo avere macchine che non solo eseguono ordini, ma riflettono su di essi, e con le quali instaurare un dialogo. L’interrogativo che ci poniamo oggi non è se questa tecnologia cambierà il nostro modo di vivere e pensare – lo sta già facendo – ma fino a che punto siamo disposti a far entrare questa nuova forma di intelligenza nel nostro quotidiano.

  • Brown, T. et al. (2020). Language Models are Few-Shot Learners.
  • Wei, J. et al. (2022). Chain-of-Thought Prompting Elicits Reasoning in Large Language Models.
  • IBM. “What is Chain of Thought (CoT)?”.