Intervista all’Onorevole Lorenzo Guerini, Presidente del COPASIR
T. Bendicenti:
Presidente, la prima domanda che vorremmo porle riguarda ReArm Europe, il massiccio piano di investimenti a medio termine, proposto dalla Commissione, e volto all’efficientamento, all’integrazione ed alla modernizzazione delle forze armate e delle infrastrutture strategiche dei ventisette stati membri dell’Unione Europe. Un programma ambizioso, ideato in un contesto geopolitico che muta costantemente, in cui – per molti versi – regna l’incertezza, e che, già dal nome, ha suscitato un ampio dibattito
La domanda è: secondo Lei, questo è la strada corretta per migliorare le capacità difensive – e quindi anche di deterrenza – del nostro continente?
Presidente Lorenzo Guerini:
Non voglio entrare nel merito della questione nominalistica. Probabilmente, dal punto di vista comunicativo, si sarebbe potuto trovare un nome migliore per il piano – e infatti nel frattempo è stato ripensato.
Detto questo, il punto centrale resta l’esigenza di rafforzare le capacità militari europee. Questo è l’obiettivo del piano, ma è anche una necessità di lungo corso, ampiamente riconosciuta. Se ne discute da tempo, anche in ambito NATO, dove si parla spesso della necessità di rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica.
Io credo che questa sia la direzione giusta. Si tratta prima di tutto di un messaggio rivolto al mondo: l’Europa vuole giocare un ruolo da protagonista, anche costruendo la propria autonomia strategica. Viviamo una fase di profondi cambiamenti, di riscrittura degli equilibri internazionali, e l’ordine globale che conoscevamo è in crisi. L’Europa, con questo piano, manda un segnale: “Noi ci siamo, e ci saremo, forti dei nostri valori, dei nostri ideali, della nostra identità culturale.”
Vogliamo favorire il multilateralismo, investire nelle grandi organizzazioni internazionali, ma allo stesso tempo dotarci anche degli strumenti militari necessari per essere protagonisti in un mondo che cambia rapidamente. Alcuni aspetti del piano sono sicuramente discutibili, ma lo considero comunque un passo necessario. Le critiche, a mio avviso, non giustificano il blocco del progetto. Siamo ancora all’inizio: ci troviamo in una fase preliminare di negoziazione. Il piano subirà un affinamento, proprio come accadde con il PNRR. Ricordiamo com’era partito quel processo, e dove siamo arrivati con Next Generation EU.
Insomma, è ancora presto per un giudizio definitivo. Ciò che conta è che l’Europa abbia compiuto un primo passo importante e che abbia lanciato un messaggio forte di coesione al mondo. Gli strumenti previsti andrebbero, però, rafforzati, soprattutto nella dimensione della cooperazione europea. Non si tratta di contrapporre le capacità militari nazionali a quelle comuni, perché la difesa europea si baserà comunque sulle difese dei singoli Stati – come avviene già nella NATO.
Ma ci sono due motivi per insistere sull’integrazione:
- È necessario affiancare al piano strumenti finanziari, poiché non tutti gli Stati membri hanno margini finanziari sufficienti, anche in relazione alle modifiche al Patto di Stabilità contenute nel piano von der Leyen.
- Occorre investire in tecnologie abilitanti comuni, strategiche per tutti.
Faccio un esempio concreto: la difesa missilistica. Non possiamo pensare di realizzarla su base nazionale. Serve un sistema integrato, europeo, forte e autonomo. E questo richiede investimenti condivisi.
Dobbiamo rafforzare una base tecnologica e industriale comune. Le risorse europee devono essere impiegate per far evolvere l’industria della difesa, promuovendo cooperazione tra le aziende nazionali, alleanze, sinergie e condivisione tecnologica. E bisogna favorire l’interoperabilità, evitando che i fondi vengano dispersi su piattaforme frammentate.
È essenziale puntare su sistemi comuni per garantire un impiego efficace e coordinato.
Infine, va fatto un investimento politico: bisogna lavorare sulla governance della difesa europea, con una pianificazione comune e la creazione di centri di comando e controllo condivisi. Oltre alla condivisione di obiettivi strategici e dove e come impiegare lo strumento militare comune.
Insomma, il piano va migliorato, ma il primo passo è stato fatto. Ed è un passo necessario, anche come segnale al mondo di una volontà europea di unirsi e rafforzarsi.
T. Bendicenti:
Vorrei riprendere un termine che ha utilizzato Lei, Presidente: “autonomia strategica”.
Come dovrebbe essere intesa, secondo lei, nel breve termine – rispetto all’attuale amministrazione americana – e nel lungo periodo, in relazione agli interessi strutturali degli Stati Uniti come alleato storico dell’Unione Europea?
Presidente Lorenzo Guerini:
Io credo che dovremmo parlare non tanto di autonomia da, ma di autonomia per.
Il punto non è diventare autonomi dagli Stati Uniti. Anche se, va detto, la relazione transatlantica oggi è tutta da decifrare. Viviamo una fase di incertezza, con molte difficoltà. Tuttavia, non mi sentirei di trarre conclusioni definitive su quale sarà l’evoluzione di questo rapporto.
Dal punto di vista geopolitico e strategico, gli Stati Uniti hanno da anni rivolto lo sguardo verso altre aree, soprattutto l’Indo-Pacifico. La grande competizione con la Cina si gioca lì. Parliamo di una sfida che è al tempo stesso strategica, tecnologica e sistemica. Questa direzione è in atto almeno dall’amministrazione Obama, forse anche da prima.
L’Europa, in questo scenario, ha bisogno di rafforzare la propria capacità di difesa e, più in generale, la propria autonomia. È una questione, in primis, di responsabilità. Bisogna occuparsi della propria sicurezza, pur restando in una logica di collaborazione strategica con gli Stati Uniti. Ma anche di diventare un attore globale nelle nuove sfide che si stanno delineando.
Per me, “autonomia strategica” significa proprio questo: costruire la capacità di giocare partite fondamentali – non solo sul piano militare, ma anche in settori come lo spazio, la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale.
Sfide che non appartengono al futuro: sono già il presente.
E noi dobbiamo essere in grado di affrontarle, rafforzando la nostra autonomia e la nostra presenza nel mondo.
A. Arena:
Presidente, dopo il 24 febbraio e il 7 ottobre si è avuta un pò l’impressione che gli equilibri geopolitici precedenti, non dico si sgretolassero, ma certamente subissero delle modifiche significative. Non che prima non fosse una realtà multipolare, tutt’altro. Ma vi era sicuramente una prevalenza più occidentale. Ora, pensando ad esempio ai BRICS, quale rapporto potrebbe avere l’Italia, e più in generale l’Europa, con paesi diversi da noi per forma di Stato e di governo, oltre che per rapporti commerciali? Mi riferisco non solo alla Cina, ma anche, soprattutto, a Stati come l’India, l’Algeria o l’Arabia Saudita.
Presidente Lorenzo Guerini:
Penso che l’ordine globale non sia in crisi perché ci sono guerre, ma che le guerre siano conseguenza della crisi dell’ordine globale stesso. L’ordine che conoscevamo non è più riconosciuto da tempo da una larga parte del pianeta. I BRICS, e in particolare i BRICS +, rappresentano paesi con agende e obiettivi differenti, ma uniti dalla contestazione dell’ordine globale precedente, che era dominato principalmente dall’Occidente. Questi paesi hanno oggi una rilevanza significativa dal punto di vista demografico, economico e militare, ed è indispensabile confrontarsi con loro. Alcuni sono più problematici, come la Russia e la Cina, ma molti altri sono aperti al dialogo con l’Occidente e l’Europa. Dobbiamo considerare questi paesi come protagonisti nella costruzione del nuovo ordine globale e delle relative istituzioni, che oggi sono in crisi proprio perché rappresentano un ordine ormai superato. Le difficoltà delle Nazioni Unite, ad esempio, derivano dal fatto che esse erano parte integrante di un ordine globale non più riconosciuto pienamente. È dunque necessario immaginare nuove regole e nuovi principi per un ordine globale che includa paesi che oggi reclamano un ruolo da protagonisti, una richiesta che non possiamo ignorare non per generosità, ma per senso di realtà.
A. Arena:
In questo contesto, ragionando da europei, quanto possiamo favorire il dialogo e la pace? Attualmente, i tavoli delle trattative sono molto attivi in Qatar, in Arabia Saudita, e prima ancora in Turchia, nonostante le recenti contestazioni. Come può l’Europa destreggiarsi non solo nelle scelte decisive, come il sostegno militare all’Ucraina, ma anche nel promuovere negoziati e sostenere chi è stato invaso?
Presidente Lorenzo Guerini:
Dobbiamo innanzitutto chiarire un aspetto, altrimenti rischiamo di valutare il ruolo politico europeo solo in relazione all’Ucraina. La questione ucraina è particolare, dato che si tratta di un paese aggredito, accompagnato da un’offensiva culturale, politica e di disinformazione attuata da Putin contro le democrazie europee. Noi stessi siamo stati un obiettivo di questa strategia di indebolimento, soprattutto mirata al progetto europeo. Per questo abbiamo reagito con il sostegno all’Ucraina, applicando sanzioni alla Russia e cercando autonomia energetica. Tuttavia, dobbiamo evitare di guardare ogni questione internazionale attraverso la sola lente del conflitto ucraino. Nel nuovo sistema di relazioni internazionali che si sta costruendo, l’Europa deve essere forte e unita, basando il proprio contributo sui valori democratici, sul dialogo tra popoli, sul diritto internazionale e sul multilateralismo. Questi valori devono guidare l’Europa nel nuovo ordine mondiale.
A. Arena:
È tuttavia preoccupante vedere attacchi diretti ai valori europei, soprattutto provenienti dagli Stati Uniti, nostro alleato storico. Certamente Donald Trump non è gli Stati Uniti e gli Stati Uniti non sono Donald Trump, ma sentire oltreoceano definire l’Europa quasi come fosse un peso o un incidente della storia è allarmante.
Presidente Lorenzo Guerini:
Condivido questa preoccupazione. Mi angosciano certe espressioni e giudizi sull’Europa che arrivano da oltre Atlantico. Non ignoro i problemi reali nelle relazioni tra Europa e Stati Uniti, come la necessità di riequilibrare gli scambi commerciali o la richiesta americana di un maggior impegno europeo nella propria difesa. Questi temi sono legittimi e vanno affrontati, ma il tono e le modalità adottate dall’attuale amministrazione americana pongono seri interrogativi sul futuro delle nostre relazioni. Il rischio è di mettere in discussione i valori stessi dell’Occidente basati sulla difesa delle democrazie liberali. È una situazione complessa e preoccupante, che spero possa essere superata con una fase più costruttiva, sebbene questo dipenda in larga misura dagli Stati Uniti stessi. Ciò detto, la relazione con gli Stati Uniti rimane centrale sia per l’Italia sia per l’Europa. E ritengo anche viceversa.
A cura di Giacomo Maria Egidi, Antonino Arena e Tancredi Bendicenti