Il Popolo e l’Amore Politico nell’Orizzonte di Papa Francesco
- Introduzione
Scrive San Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio.”[1] E davvero, in questo tempo accelerato, riusciamo a cogliere le cose del mondo solo nella loro espressione contingente, senza avere, sempre più spesso, non solo gli strumenti teoretici, ma anche il l’occasione concreta, di comprendere i sistemi e le traiettorie che governano le direttrici del cambiamento.
Time is out of Joint. Il tempo è fuori di sesto. Ed uno dei pochi cardini che restavano, e che continuano a resistere, è il magistero di Papa Francesco. Un magistero, non penso vi debba essere timore nel dirlo, autenticamente, politico. Nelle modalità di comunicazione, nel metodo, nei fini. Teso al miglioramento reale e duraturo delle condizioni di vita dei più poveri, all’inclusione di quegli ampi strati della popolazione che sono usciti sconfitti dall’avvento del capitalismo globalizzato, all’erosione programmatica degli abissi economici e culturali che separano chi non ha da chi ha. Perché la politica, nella sua verità, è una forma di Amore. Forse una delle più alte.[2] Sostanziata nell’impegno attivo ed intelligente per la tutela degli interessi collettivi che si configurano, rawlsianamente, anche e soprattutto come gli interessi degli ultimi. Un amore politico, dunque, che passa attraverso un’idea organica di popolo, e la difesa di ciò che è umano.
- L’amore politico alla luce del recente magistero di Papa Francesco
La dicitura “amore politico”, inteso nella specifica accezione dell’opzione preferenziale per le situazioni di marginalizzazione, esprime un nucleo essenziale del magistero di Papa Francesco, scomparso lo scorso 21 aprile. È lo stesso Pontefice argentino ai nn. 180-182 della Lettera Enciclica Fratelli Tutti [3] a richiamare la necessità di fondare un ordine sociale fondato sulla carità, sintesi di tutta la Legge.[4] Questa si invererebbe non solo nei rapporti intimi e personali ma anche nelle cd. macro-relazioni, costituenti l’ordine politico, economico e sociale.[5] L’amore politico, inteso nella sua più ampia accezione di realizzazione della carità nella sua declinazione, evidentemente, “pluri-dimensionale” è circostanza nota alla tradizione del pensiero cattolico. Così Tommaso d’Aquino, invero richiamato da Francesco:
“Un atto può derivare dalla carità in due modi. Primo, come suo atto elicito. E tale atto virtuoso non richiede un‘altra virtù oltre alla carità: come amare il bene, godere di esso e addolorarsi del suo contrario. Secondo, un atto può derivare dalla carità come comandato da essa. E sotto questo aspetto, poiché la carità comanda tutte le virtù ordinandole al proprio fine, un atto che deriva dalla carità può appartenere anche a un‘altra virtù.”[6]
Il Pontefice riconduce la prima ipotesi di atto a quelli che, come sostiene Tommaso d’Aquino, procedono direttamente dalla carità e non necessitano di mediazione di altre virtù: questi sono gli atti rivolti nei confronti di persone e popoli considerati in loro stessi.[7] Gli atti “imperati” sono invece quelli diretti alla dimensione economica, sociale, politica e giuridica; azioni per vero non procedenti dalla carità quale virtù fondante e auto-sufficiente bensì azioni ispirate da altre virtù ma allo stesso tempo rese necessarie dalla stessa carità e orientate da essa”.[8] Entrambi gli atti invero, nonostante l’evidente differenza tracciata, sono manifestazioni di carità.[9] Evocativo è l’esempio del sindaco che si mobilita per la costruzione un ponte per assecondare i bisogni di un anziano che fronteggia la necessità di attraversare un fiume e quindi di garantire allo stesso condizioni sociali migliori e del semplice aiuto rivolto allo stesso anziano per attraversare il fiume senza l’intervento dell’autorità:[10] entrambi tali atti sono esercizio di carità, muovendo dallo stesso principio. Il luogo di realizzazione di tali atti è la dimensione relazionale del singolo, la quale, in una prospettiva collettiva, si identifica nel popolo. Ognuno, ribadisce Papa Francesco,
“è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. Popolo e persona sono termini correlativi”.[11]
Il popolo è contrapposto alla considerazione dei soli bisogni dell’individuo, i quali, laddove affermati quali necessariamente prevalenti e non da inserirsi organicamente nella struttura del popolo, assumono un’indebita forza disgregante.[12] È per il tramite degli atti caratterizzanti l’amore politico che si realizza l’unità nel popolo e tra i popoli.[13] Come declinare tuttavia l’inveramento degli atti di amore politico in relazione alla dimensione popolare del magistero di Francesco? Chiaro appare in questa prospettiva il leitmotiv secondo il quale si dovrebbe individuare la prevalenza della dimensione collettiva a quella individuale e del primato della realtà sul dogma, la prima intesa come particolare insieme delle manifestazioni culturali di un popolo.
Occorre primariamente muovere alcune considerazioni sulla nozione di popolo. Il Popolo è, secondo il Pontefice argentino, una categoria “mitica”.[14] La nozione di popolo, e segnatamente l’appartenenza del singolo al popolo è segnata dal momento esistenziale.[15] Qui non si tratterebbe invero di adottare le soluzioni ritenute migliori per la cosa pubblica bensì quelle particolari esigenze le quali, esistendo con lo stesso popolo, si rendono necessarie.[16] L’esigenza di unione deriva dal popolo ed è che trova attuazione l’amore politico nelle due forme sopracitate. Il popolo infatti, laddove può essere spiegato in se stesso attraverso categorie politiche, logiche, sociologiche e culturali nessuna categoria può spiegarne l’appartenenza.[17] Questi elementi assumerebbero in realtà la natura di una categoria teologica e parrebbe un errore la loro diretta interpretazione in chiave politica senza il preventivo inquadramento in punto teologico.[18] Pacifica è la riconducibilità di alcune idee esposte nel Magistero di Papa Francesco alla Teologia del Popolo.[19] Tale scuola di pensiero teologico trae le proprie radici nel contesto dell’Argentina della seconda metà del XX secolo.[20] Secondo questa prospettiva le manifestazioni della entità “popolo” inteso sia nella sua dimensione teologica sia in quella culturale, sarebbero da individuarsi nella sua propria cultura, e segnatamente nelle manifestazioni popolari di questo.[21] Questa, come sottolinea recente letteratura, viene rapportata alla categoria del popolo sulla base di Gaudium et Spes n. 53[22] a tenore della quale:
“con il termine generico di « cultura » si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano”.
- La marginalizzazione: l’opzione preferenziale e la teologia del popolo
Nell’impossibilità di ripercorrere in questa sede l’interezza del magistero sociale di Papa Bergoglio si intende riflettere sulla portata dell’opzione preferenziale per i poveri. Quest’ultima, tema ricorrente dell’intero magistero di Francesco è un tratto che accomuna il Magistero pontificio più recente e le correnti di pensiero teologico latino-americane, segnatamente la teologia del popolo e la teologia della liberazione, sia pure in una differente prospettiva. È nell’Evangelii Gaudium che il Pontefice richiama la necessità di riaffermare l’opzione preferenziale per i poveri, nella misura in cui:
Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri.[23]
L’affermazione contenuta nella citata Esortazione Apostolica ricalca quanto ricordato nel precedente intervento di Benedetto XVI all’Episcopato latino-americano[24] nella misura in cui l’opzione preferenziale per i poveri è “implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà (2 Cor, 8-9)”. Infatti, Cristo si è identificato nei poveri (Mt, 25, 20). L’opzione preferenziale per i poveri è stata altresì oggetto di evoluzione nel contesto del recente magistero. Già San Paolo VI nella Populorum Progressio accenna alla maggiore necessità di attenzione nei confronti dei poveri e del loro progresso di come componente del più ampio sviluppo integrale dei popoli, in quanto elemento essenziale allo sviluppo.[25] Oltre al pontefice tedesco anche San Giovanni Paolo II si concentra sull’opzione preferenziale come espressiva del primato della carità.[26]
La dimensione dell’opzione preferenziale intercetta entrambi i significati di atto precedentemente illustrati: da un lato essa si caratterizza come atto di misericordia (elicito); dall’altro come atto di giustizia sociale (imperato).[27] Secondo quanto affermato dal Compendio della DSC: “Essa (opzione preferenziale) si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali”.[28] Essa è invero una direzione riferibile ad ogni credente[29] ed è ritenuta dalla Chiesa come “una forma speciale di primato della carità cristiana”.[30]
In cosa potrebbe identificarsi dunque la dimensione sociale dell’opzione preferenziale? Papa Francesco conclude nel senso di adoperarsi affinché le strutture economiche e sociali che generino emarginazione nei confronti delle persone più svantaggiate siano eliminate.[31] Queste non contemplano esclusivamente delle cause strettamente sociali bensì anche ecologiche, secondo il modello dell’economia sociale di mercato “ecologicamente orientata”, nella necessità di un superamento di un antropologia marcatamente individualista.[32] Da qui occorre individuare l’opinione espressa nella Laudato si secondo la quale non si dovrebbe scindere questione ambientale e questione sociale. L’Opzione preferenziale viene dunque rapportata a fattori non direttamente riferibili ad essa.[33] Occorre pertanto, come affermato da Francesco, un radicale cambiamento nella prospettiva dell’uomo, in primo luogo nella sua dimensione interiore, nel richiamo ad una necessaria e strutturale solidarietà.[34]
- Conclusione
Non è tuttavia possibile, né tantomeno auspicabile, riassumere il senso del magistero di Papa Francesco in poche righe. È un’operazione intellettuale troppo complessa e tortuosa, costellata di pesi mutevoli, giudizi opinabili, valorialità distinte e, talvolta, configgenti. Ciò che si può, invece, almeno tentare, è la determinazione di un concetto, tra molti, che ne incarni e rappresenti, al meglio, il significato. Cosa resta, perciò, dell’opera, della vita, di Jorge Mario Bergoglio? Come uomo, prima ancora che come sacerdote; come sacerdote, prima ancora che come Papa? La volontà, il coraggio razionale, di Sperare. Lo stesso verbo, declinato al modo imperativo, che ha dato il titolo alla sua autobiografia. Una Speranza che si configura come ricerca attiva ed asintotica della Verità, elaborazione effettiva di una realtà migliore. Papa Francesco ha dimostrato, giorno dopo giorno, che il cambiamento è possibile. Che le ingiustizie sono sanabili. Che c’è ancora molto, ma mai troppo, da fare.
di Francesco Fonte, con il contributo di Tancredi Bendicenti
[1]1 Cor, 13, 12.
[2] Pio XI, Discorso alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana, 18 dicembre 1927. In questa occasione Papa Pio XI affermò “E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore”. E inoltre: “Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”. In continuità con questa affermazione la Lett. Enc. Quadragesimo Anno, n. 88. Nell’ottica di procedere verso un ordine politico fondato, come afferma Francesco, Fratelli Tutti, n. 180, sulla carità sociale.
[3] Francesco, Fratelli Tutti, cit., nn. 180-182.
[4] Mt 22, 36-40.
[5] Francesco, Fratelli Tutti, cit., n. 180
[6] Ivi, n. 186. Il riferimento è a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, qq. 8 ss.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Francesco, Fratelli Tutti, cit., n. 182
[12] Ivi, n. 12.
[13] Ivi, nn. 137-138
[14] Ivi, 158. Nel merito della questione, sia pure con riferimento a documenti precedenti si veda l’inquadramento di ordine generale di J. S. Scannone, El Papa Francisco y la teología del pueblo, in Razón y fe, Buenos Aires, 2014, pp. 31 ss.
[15] Francesco, Fratelli Tutti, cit., n. 158
[16] Ibidem.
[17] Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 180 ss.
[18] Francesco, Fratelli Tutti, cit., n. 158
[19] J. S. Scannone, El Papa Francisco y la teología del pueblo, cit., p. 31.
[20] Ibidem.
[21] Sul tema, Francesco, Evangelii Gaudium, n. 157.
[22] Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes, 53.
[23] Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 187.
[24] Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa di inaugurazione della V conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei caraibi.
[25] Paolo VI, Populorum progressio, nn. 3 ss.
[26] Per quanto attiene a San Giovanni Paolo II si rinvia a rimandi di Francesco, Fratelli Tutti, cit., sub n. 183;
[27] Cfr. Supra.
[28] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Città del Vaticano, 2005, n. 182.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] Francesco, Fratelli Tutti, cit., nn. 180 ss.
[32] A titolo esemplificativo Francesco, Laudato si’, n. 162.
[33] Ivi, n. 158.
[34] Francesco, Laudato si’,cit. n. 162.